Irina
26 ottobre 2016 § 3 commenti
Fra i tetti spioventi
prati di un verde confuso
sui prati fioriscono ragni
come sentieri inconsapevoli
nel sonno delle fioriture.
Automobili impietose
nel paesaggio
preso in prestito a novembre.
I volti atterriscono.
La malattia
è un incendio pervasivo
agguanta le cellule
srotolandole.
Una successione di festività
frana nell’oceano.
La rarità
colpisce
gli inconsapevoli.
La prospettiva della morte
come una convalescenza a parte.
Alle periferie della voce
una disperazione sotterranea
scorre a fianco delle fognature.
Le lente improbabili stazioni
di una crocifissione riattata
lei vi si ferma senza poter pregare.
Qualcosa ci martirizza
nelle necessità
e la luce
la luce è qualcosa di recitato.
È lei a comandare
si fa presto
a scendere e salire.
Che ci sia un ruolo
per ognuno
questo fa pensare
a lato
che sia una vita di stenti
non più di privazioni.
Anche la sopportazione
si espianta
basta un minimo di esperienza
per ricollocarla
a livelli più alti.
La bellezza è quella cosa
che cresce ai bordi delle strade
e ci passano il diserbante
perché non sfiori nessuno.
La grazia invece
non se la fila nessuno
cresce molto più in là
dove non passa persona.
un pezzo d’amore
21 ottobre 2016 § Lascia un commento
accarezza l’impermeabile appeso al muro
della minuscola trattoria, appeso come
un quadro, con i bottoni slacciati e la fodera
a vista: come un amore detronizzato, ma
ancora regale e autoritario.
un pezzo d’amore
17 ottobre 2016 § Lascia un commento
Una caramella amara
sullo specchio successivo
e tu che mi aspetti
all’ombra
del sole.
Alveo
1 ottobre 2016 § 3 commenti
Figura, salvare i tuoi capelli
ricamati sull’orlo del mio corpo,
e conto le cementine, i calici,
le ossa di balena prima che
trasmigrare fosse qualcosa di cui
discutere, i suoni esausti ai quali
preferisco la calma, il silenzio,
la conservazione della realtà,
e saldiamo grate arrugginite
a proteggere i templi che ergemmo
altrove, in altri tempi, prendiamo aerei
sovente e in questo continuo
spostarci emerge il profilo di ciò
che siamo, e che siamo non per quanto
dichiarato, ma per il buio che contorna
la nostra luce, il planare corrosivo
dei nostri pensieri che fanno carne,
l’istante in cui torno a scrivere e ora
smetto, accetto.