effetto di mera esposizione

30 gennaio 2023 § Lascia un commento

Gli dice del genio
ma non della genìa
dell’improbabile discendenza che nei geni
si attorciglia al cane, all’asfalto, a un fuoco
che deve ardere ed essere alimentato.
Come scorre il traffico
nei giorni feriali, nelle strade statali o superstrade
che sono transito e ascendenza,
nella velocità consentita che non smuove l’esistenza,
la genìa, nell’essere irregolare e scalpitante
oltre la superficie mossa
sta un contenuto che sobbolle sempre
scapestrato e indomito da ere
per, appunto, discendenza e genìa
sempre teso e mai lanciato
recalcitrante alle luci stroboscopiche
dei deliri del fine settimana
assaltante e assaltato
ascendente anche, ma in dettagli
che raramente vengono scorti.

Immobilità; avaria.

musica da un’altra stanza

24 gennaio 2023 § Lascia un commento

.

Il mattino insegue, sole che scopre il sole*

Non posso bastarmi se mi assento dalle scene.

Stamane l’approdo al sentiero
dopo tanta deriva
DIE* in cuffia, la neve indifferente a me e io
senza tentennare, nonostante le calzature zuppe già al terzo km.
Scelgo la mia stradina solitaria
battuta solo dagli animali selvatici
la scia che hanno tracciato non mi è congeniale
nelle pendenze scivolo
non ho zampe lunghe e zoccoli
ma lo rispetto e rispetto me stessa.

Mi fermo
Sara mi manda fotografie di camere da letto nelle quali albeggia
sono intessute di amore, di calore disordinato.

Mi ero dimenticata di essere animale
così metropolitana e al netto dei treni
stavo svaporando dal mio corpo
dai tappeti di aghi
che nessuno si sognerebbe di aspirare.
Mi ero dimenticata di ascoltare il silenzio
che trabocca di suono.

*Verso tratto da Paesaggio, quinta traccia dell’album DIE, di Iosonouncane, Universal Music Italia Srl. 2015

effetto di mera esposizione

23 gennaio 2023 § Lascia un commento

Andavo nelle sale giochi
avevo 12, 13, 14 anni
poche possibilità, ma un paio di gettoni li ottenevo
non osavo provare ogni gioco
non l’avrei fatto sapendo di non essere perfetta
e l’imperfezione mi attanagliava
un collare stretto
che io stringevo ancora di più.
Poi c’erano gli altri ragazzini
li guardavo da lontano, di nascosto
magari uno mi sorrideva, mi diceva ciao
ma io li relegavo nell’impossibilità e nella dimensione
onirica, non potendo ammettere di essere carina
o anche solo un tipo
con due vestitini e il resto approssimativo
io occlusa nell’assenza di sicurezza
spaventata come una volpe
confusa e desiderosa come un cucciolo di cane
che qualcuno scegliesse me, proprio me fra tante.
Come potevo sperare, se io non mi sceglievo.
Come Bastiano che fino all’ultimo non osa
chiamare ad alta voce Fiordiluna
e senza l’AURYN che ora sono io per me stessa
senza sapere che desiderare era la metà buona di fare:
arrossivo, mi giravo da un’altra parte, inserivo un gettone
per bubble shooter, rapidamente perdevo, tornavo in hotel.
Il giorno dopo, in spiaggia, sarei andata avanti a leggere
i miei mille libri, fatto bagni senza saper nuotare decentemente
guardando attentamente la vita scorrermi davanti
granello dopo granello
senza immaginare lontanamente
come e quando
l’avrei fatta mia.

api

23 gennaio 2023 § Lascia un commento

Io me ne vado sempre.
Nella dimensione di caviglie scatole treni.
Io me ne vado e il mio andarmene
è un manifesto apolitico
totalmente personale
uno di quelli che scalano in solitaria.
Perciò: io me ne vado. Sempre.
I collari non sono nemmeno se collane.
Non sono fedele nemmeno a me stessa.
Ma lo faccio. Anche quando
andandomene
resto.
Resisto restando
e nel continuo andando.
Per le ruote motrici che corrispondono
a tutte le mie ruote
e la mia musica imprecisa
(andante, adagio)
me ne vado sempre ed è sempre fermo restando
che resto, mai andata, occupante
ancora scranni e letti e armadi e grembi e mani.
Io che me ne vado sempre
e compongo un casino
che resta, andato.

api

16 gennaio 2023 § Lascia un commento

Le gambe aprono al lavorìo del bacino
che sovrasta e entra
è una serra non approssimativa
che reinventa senza semina
nel lampeggiare allarmato di occhi e mani
nelle rientranze delle valli, nelle superstrade
poco trafficate di certe domeniche,
tardo pomeriggio, i lampioni a segnalare
il nulla caldo nell’ora blu
il blu che arretra, proprio qui, proprio ora
nel confluire delle mani, attente, incolonnate
nella prontezza della segnaletica orizzontale
pronti a evacuare pianeti consunti
nelle copertine di stoffa dei libri che non sappiamo
di aver scritto, nella polvere che vi si è annidata:
la parentesi chiusa dopo un ampio fraseggiare.
Perduti i materiali alti della nebbia.
Dismessi i tralicci e il loro allarme nei voli.
La domenica è un pasto senza termine
che non dovremmo attendere
che ci scorre separando.

api

15 gennaio 2023 § Lascia un commento

LA BOTTEGA DELL’OLIO
recita l’insegna curata
su un edificio dalle fattezze di magazzino
nei pressi della stazione ferroviaria
di Varenna-Esino-Perledo.
Fuori Lecco i muraglioni che accompagnano il percorso del treno
erano neri di tempo e sporcizia.
L’amore ci sgocciola dagli occhi
appanna i dettagli dimenticabili
mentre pure i più sordidi, qualora pieni di sottintesi,
si tingono di impressionante bellezza
come i motel avvistati dall’autostrada
le aziende di import export, le auto concessionarie
due giovani prostitute sul cavalcavia della stazione
il ristorante peruviano, le pensiline
le vie ampie e inondate dal sole uscendo
dal centro di Brescia.
Navighiamo a vista, esperti non so di cosa,
cionondimeno esperti l’uno dell’altro
in osservazione quieta e serena accettazione degli eventi
meteorologici, aeroporti non ancora battuti,
una Siberia tascabile e non intaccata
lunghi e immobili e senzienti
impalcati a protezione degli squarci delle nostre mura
che non fanno rumore, bensì cantano.

La bottega dell’olio non pare mai aperta.
Forse è un luogo chiamato col nome di un altro
restando pertanto ignoto a tutti, al riparo,
protetto dalla linee spaziotemporali dei treni.

api

7 gennaio 2023 § Lascia un commento

Ci sono forme piramidali che mi accompagnano.
Il Tresero, per esempio.
Rimasto fra le gambe del gigante che cadde sulle montagne.
Queste forme che mi dicono la mia forma.
Piramidale o meno.
Tengo sulla testa nuda nudissima
un’esistenza in termini di roccia e intemperie e
intemperanze tenere e ispide
come il fermentato stare al mondo
il generare, secondo stagione e secondo natura,
quando si preparano i germogli
e io non sono che albero,
secondo stagione e secondo natura,
fra le file che tengono i sentieri
e il loro mutare da inverno a estate.
Bambina mia, tu scivoli.
Bambina mia, io oggi ho guidato portando te
un ulteriore modo di portarti
per gli ulteriori modi in cui tu porti me
e comporti e importi.
In tutto ciò
il Tresero svetta.
La nostra storia
e la nostra esistenza in un divenire furioso e quieto e risolto.
Bambina mia, mia vetta.

api

5 gennaio 2023 § Lascia un commento

Milano è un pietoso involucro di nebbia.

Ho acquistato, per errore di valutazione,
un posto contrario al senso di marcia
sono, così, costretta a indulgere con lo sguardo
su ciò che rimane indietro, anziché essere
proiettata in avanti.
Stralci della febbre rimangono sul corpo
come il dolore agli arti e un sentore di ovatta
qualcosa di, tutto sommato, estremamente dolce.
I posti sono occupati, non tutti.
Il Natale lascia storditi e disorientati, come la febbre,
come una bottiglia di vino finita, come la vita.

A volte ti scrivo una lettera senza inchiostro,
amore mio. A volte ti scrivo cose che non so dire
o che dire non è necessario.
Come lasciarsi indietro la nebbia ma seguirla
scomparire piano, sostituita da altra nebbia
e altri paesaggi più o meno urbani
sui binari che sono brani interrotti
dove l’inverno si scrive solo sui calendari, a matita
e io continuo a esistere in quanto principalmente io
come la febbre così alta mi ha ricordato
come i treni che non smettono di partire e arrivare
come la preghiera imprecisa dei miei anni passati
che ha smesso di essere preghiera: ora è
una richiesta precisa, di restarmi presente,
di esistere.

Dove sono?

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